Atti di Convegni e Forum

«Il significato e il valore dell’Enciclica Laudato si’» di Valerio Delfino

Buonasera a tutti. Innanzitutto ci tengo a ringraziare i genitori di Federico per essersi impegnati molto ad organizzare questo incontro di riflessione su questo tema importante; ce n’è bisogno. In secondo luogo, come padre, esprimo la mia ammirazione per questo impegno che state portando avanti in questo tempo di prova per la vostra famiglia.

Vorrei cominciare il mio breve intervento riprendendo un’immagine che il Vicario Generale ha usato per esprimere quello che è il cuore dell’enciclica, ovvero l’amore per il Signore, l’amore per la natura e l’amore per il prossimo: il Centro Chiavacci, che noi conosciamo bene. In effetti dà proprio un’immagine immediata di questa declinazione triplice dell’amore, ma anche strettamente connessa: anziani che passano un periodo di vacanza in un centro di spiritualità insieme a tanti altri anziani e altri gruppi presenti, immersi nella natura.

Io credo che questo enciclica arrivi proprio in un momento opportuno e giusto nella storia dell’umanità, perché è un richiamo ed uno sprone che viene fatto ad ognuno di noi a prendere sul serio due temi che nei nostri giorni urgono fortemente un impegno personale: la crisi ecologica a cui stiamo assistendo a livelli globali, per la quale non credo servano troppe parole per descriverne la gravità e allo stesso tempo la grave crisi delle relazioni e quindi della fraternità e della solidarietà tra le persone. Oggi viviamo nel tempo della massima interconnessione delle persone, quasi esclusivamente tecnologica, ma anche della massima solitudine. E questa solitudine è la vera povertà che accompagna tutte le altre povertà materiali e non.

La conseguenza della crisi ecologica e delle relazioni rivela anche una crisi del terzo aspetto dell’amore che è l’amore verso Dio da parte degli uomini e a tal proposito mi vengono in mente le parole della prima lettera di Giovanni Apostolo: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” e potremmo parafrasare per l’amore per la natura dicendo “Chi infatti non ama il creato che vede, non può amare Dio che non vede”.

C’è quindi, secondo me, una grande domanda che emerge dall’enciclica Laudato sì e che è rivolta a tutti noi, alla quale va risposto però in modo del tutto personale, nel senso che dobbiamo fuggire dalla tentazione di dire “ci deve pensare la politica”, “ci devono pensare le istituzioni”, “ci deve pensare la Chiesa”; in altre parole: ci devono pensare gli altri… No, questo non va bene, perché il futuro del nostro mondo e quello dell’umanità dipende da ognuno di noi e da quanto ognuno di noi si mette in gioco personalmente.

Ma cosa si può fare in concreto? Per rispondere a questa domanda, vorrei provare a darvi un esempio raccontandovi la storia di un ragazzo di vent’anni, un ragazzo “di strada”; ma per farlo devo prima raccontarvi qualcosa sulle persone che vivono in strada: tra i tanti problemi che hanno i senzatetto c’è anche quello che durante il giorno non sanno cosa fare e spesso quasi ci implorano di fargli fare qualcosa. Questo problema purtroppo vale anche per quelle persone che escono “dalla strada”, perché, magari grazie al Comune ricevono una casa popolare… come ad esempio è successo al povero Michele che tutti hanno conosciuto nelle strade di Treviso: quando è uscito “dalla strada” dopo tanti anni alla fine è morto.

Per provare a fare qualcosa su questo fronte, abbiamo promosso il progetto “Orti invisibili”, che poi ha portato alla realizzazione nel quartiere di San Pelajo di orti “visibili”. Ebbene, in questo orto, comprensivo di 4 lotti che gestiamo noi con i senzatetto (che proviamo a rimettere in moto), un orto che si trova in mezzo ad altri 40 lotti assegnati a famiglie del quartiere, c’è anche un lotto destinato ai bambini delle scuole per sensibilizzarli verso la natura.

Allora, tra i ragazzi che seguiamo c’è Mamadou, un ragazzo musulmano del Senegal che, ottenuto il suo stato di rifugiato, è finito in strada. È un ragazzo timido, ma che si impegna molto negli orti, tutti i giorni va lì, li cura, taglia tutta l’erba intorno ed è molto rispettoso e gentile, tanto da farsi ben volere da tutti. Inizialmente, eravamo un po’ preoccupati perché, non conoscendo molto il quartiere, temevamo qualche problema di accoglienza per questo ragazzo dell’Africa nera; ma un giorno tutto si è dissolto: sul gruppo WhatsApp degli Orti si è cominciata a diffondere la notizia che alcuni vegetali e ortaggi venivano rubati negli orti; la polemica è cominciata a montare ed io, tra me e me, ho pensato “ecco qua, ora speriamo che non accusino il povero Mamadou”, ma poi ho capito che nessuno ha mai dubitato di lui neanche per un attimo e che i sospetti erano verso un’altra persona italiana con dei problemi, che era nota in quartiere. Insomma, Mamadou aveva creato dei rapporti, si era fatto accettare.

Questo esempio ci fa capire che è possibile fare delle cose belle, nel rispetto della natura e che intorno ad essa si possono costruire molte occasioni per relazioni umane sempre più proficue.

Insomma, chi ci ha guadagnato in questa storia? Tutti, ci ha guadagnato Mamadou che fino ad allora non era riuscito a creare, a parte noi, relazioni con le persone non di colore; ci hanno guadagnato tutte le famiglie che si sono avvicinate al mondo dei profughi attraverso questo ragazzo; ci guadagna certamente il quartiere perché gli orti diventano un’opportunità per costruire “comunità”, ma anche la possibilità di sensibilizzare i bambini alla natura attraverso l’orto a loro dedicato; ed infine, ci guadagnano i poveri perché con i proventi degli orti vengono offerti loro pranzi e cene.

Concludo riprendendo la domanda iniziale: l’enciclica Laudato Si’ ci sta spronando a metterci in gioco perché il futuro passa anche attraverso di noi e perché è in questo mondo che domani dovranno vivere i nostri figli e questo mondo sarà come noi lo lasciamo in eredità a loro.

Previous ArticleNext Article