Atti di Convegni e Forum

«Oltre il rancore» di Alberto Franceschini

Mi permetto di sviluppare qualche considerazione aggiuntiva rispetto a quanto ho sentito e parto da un tweet che ho letto questa mattina: un giovane di 46 anni occupato come sovraintendente della Polizia di Stato che guadagnava 1500 € al mese, insoddisfatto dei servizi rivolti alla famiglia e della burocrazia italiana, decide di emigrare in Norvegia, dove rapidamente trova un lavoro per lui, maggiori tutele per la famiglia, asili nido e sostegno economico per i figli, burocrazia semplice, popolazione accogliente.

Parto da qui per dire che la situazione del nostro paese è del tutto diversa: l’ultimo rapporto Censis definisce la nostra società come una società del rancore. Una società delusa per lo sfiorire della ripresa e dall’atteso cambiamento miracoloso che ha incattivito gli italiani si è trasformata in una società incattivita e ostile verso tutti e tutto.

Una società che non ha fatto tesoro dei contenuti dell’enciclica papale Laudato si’, che ha raccolto ampi consensi all’atto della sua emanazione, ma non è servita a segnare una nuova strada per la vita delle nostre comunità, tant’è che:

nell’economia tutto continua come prima: negli ultimi 10 anni il debito pubblico è cresciuto di 30 miliardi, paghiamo interessi sul debito pubblico per 70 miliardi e l’evasione fiscale è stimata in 100 miliardi;

la giustizia sociale rimane una chimera: pochi ricchi possiedono più del 50% della ricchezza del paese, mentre la povertà aumenta complessivamente, una povertà che rimarrà tale anche dopo l’introduzione del reddito di cittadinanza, peraltro finanziato con altro debito;

la burocrazia impera strangolando ogni nuova iniziativa imprenditoriale, tant’è che nella nostra regione non nascono più imprese e quelle esistenti sono continuamente messe alla prova.

Se questi sono dei problemi, la prima grande riforma riguarda la semplificazione della burocrazia che sciolga da lacci e laccioli consentendo a tutti cittadini, alle imprese ed in particolare alle nuove realtà imprenditoriali di vivere meglio.

C’è poi il problema legato alla sicurezza e alla “paura dell’altro”, seminata a piene mani da chi vuole ricavarne benefici elettorali collegandola alla presenza di immigrati irregolari (intendendosi per questi le persone di colore diverso, mentre tutti sanno benissimo, ad esempio, che gran parte delle badanti di cui è piena anche la nostra provincia sono immigrati irregolari provenienti dai paesi dell’Est, ma delle quali, essendo di colore bianco, non si parla).

Provvedimenti come quelli contenuti nel Decreto Sicurezza voluto dalla Lega non aiuteranno la risoluzione del problema migranti, ma anzi lo aggraveranno, perché gran parte di quelli attualmente ospitati nei Cas o negli Sprar non otterranno il permesso di rimanere in Italia e saranno muniti di foglio di via, ma non rimpatriati.

In altre parole avremo semplicemente un numero sempre più grande di persone che costringeremo a vivere di espedienti; analogamente succederà anche per quelli che otterranno il riconoscimento di profugo; anche per loro, con il riconoscimento, terminerà ogni tipo di assistenza pubblica.
Tutto questo nell’ambito delle nostre comunità impaurite per la propaganda che trasforma una presenza largamente minoritaria in un’invasione di cui occorre avere paura.

A che servono i cartelli di controllo di vicinato se non ad aumentare paure e preoccupazioni!?

Tutto questo fa passare in secondo piano la possibilità, direi la necessità, di questi migranti per garantire lo sviluppo economico delle nostre comunità; lo sanno bene i viticoltori, che senza l’apporto dei migranti avrebbero raccolto solo in parte la loro uva. Continuiamo a registrate annunci di ricerca di lavoratori in vari settori che non vengono soddisfatti, ma non esiste un piano per la valorizzazione di questo vasto potenziale umano.

Quel che serve, quindi, non sono i proclami, ma una intelligente opera di legalizzazione e di inserimento lavorativo, che valorizzi anche queste risorse umane e sociali, facendo emerge dalla clandestinità una parte significativa di queste persone.

Un paese come il nostro fatto da un’economia di trasformazione non può essere portato a considerare la pensione o il reddito di cittadinanza come la soluzione dei suoi mali. Quel che serve è invece creare lavoro vero. Dove pensano di andare governanti che riducono la spesa destinata alla scuola, all’Università e alla formazione quando in tutti i paesi avviene il contrario? In un paese così è evidente che ci siano sempre più persone giovani, ma anche anziane, che cercano di andarsene in altri paesi.

Allora non resta che domandarci: ma che fine hanno fatto le nostre comunità capaci di solidarietà e di operare anche per il bene comune, tanto da poter essere definite comunità accoglienti?

Abbiamo perso la bussola, abbiamo sostituito il bene comune con l’egoismo personale o al massimo famigliare; ci siamo fatti traviare dai racconti dei social media che dipingono società idilliache ma senz’anima.

I richiami continui del Papa tesi a richiamarci sulla retta via a che servono, se poi una volta usciti dalle chiese dopo le sollecitazioni dei parroci a cambiare, tutto torna come prima? Forse un esame di coscienza sarebbe necessario.

Il Volontariato che si è conquistato grandi meriti deve essere più attento anche a questi temi, che sono quelli che determineranno la nostra società del futuro. La coesione sociale è tale se i cittadini torneranno ad essere cittadini attivi, protagonisti nelle loro comunità, capaci di organizzarsi per dare risposta ai bisogni emergenti in piena autonomia, cogliendo ad esempio la possibilità offerta dalla riforma del terzo settore.

Ripartire dall’enciclica di Papa Francesco e dai suoi insegnamenti è quello che occorre fare non solo attraverso le comunità Laudato Sì, ma attivando percorsi di conoscenza sui contenuti dell’enciclica per poi tradurli in pratiche azioni.

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