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La Comunità di Isola Vicentina per «il mondo più bello che il cuore ritiene possibile»

Praticare l’ecologia integrale per realizzare “il più bel mondo che il nostro cuore ritiene possibile”: con questo titolo l’associazione “Casa dei Sentieri e dell’Ecologia Integrale” di Isola Vicentina, ha lanciato nei giorni scorsi un laboratorio sulle tecniche di facilitazione dei gruppi e sul cambiamento sociale basato sulle esperienze del movimento delle Città di Transizione.

Praticare l’ecologia integrale per realizzare “il più bel mondo che il nostro cuore ritiene possibile”: con questo titolo l’associazione “Casa dei Sentieri e dell’Ecologia Integrale” di Isola Vicentina, provincia di Vicenza, ha lanciato nei giorni scorsi un laboratorio sulle tecniche di facilitazione dei gruppi e sul cambiamento sociale basato sulle esperienze del movimento delle Città di Transizione.

L’associazione, che opera nel Convento di Santa Maria del Cengio, è presieduta da fra Ermes Ronchi ed è composta da laici accomunati dal desiderio di diffondere i valori dell’enciclica Laudato si’. Con questa iniziativa, che si terrà dal 29 al 31 marzo (info www.smariadelcengio,it) la Casa dei Sentieri vuole porre le basi per valorizzare il contributo individuale di ciascuno in un cammino verso una maggiore consapevolezza ecologica. Dopo alcuni anni di attività, che ha visto avvicinarsi alle numerose iniziative svoltesi nel convento tante persone provenienti da cammini anche molto diversi tra loro, c’è infatti ora la necessità di consolidare l’associazione come spazio di pensiero libero e di azione creativa nel solco dell’ecologia integrale.

L’incontro con Giulio Pesenti Campagnoni, giovane formatore del Transition Network, ha fatto scattare la scintilla: «perché non avvicinarsi a queste tecniche così rivoluzionarie e farne un volano dell’agire associativo?»

A questo punto è necessario fare un passo indietro e spiegare cos’è questo movimento della Transizione e come le modalità di training praticate in questi ambiti possano essere utili a tutti coloro che vogliono lavorare sul mutamento degli stili di vita, che in qualche modo richiede anche un mutamento del proprio modo di organizzarsi, a cominciare dai percorsi di condivisione e di decisione.

Il movimento delle Città di Transizione nasce nel “lontano” 2005 a Totnes (UK) come un tentativo di risposta alle grandi sfide globali dei cambiamenti climatici e dell’esaurimento delle risorse. Da allora ha visto un incredibile evoluzione, diffondendosi in migliaia di iniziative in più di 40 paesi in tutto il mondo.

Le iniziative di Transizione possono nascere nelle piccole e grandi città, nei quartieri ricchi e in quelli poveri (le troviamo a Londra come nelle favelas in Brasile), in piccole comunità, nelle amministrazioni pubbliche e nelle imprese. Tutte dimostrano una grande vivacità e diversità di intenti, che a prima vista potrebbero confondere e far pensare di non avere nessuna caratteristica in comune.

La chiave è l’approccio rivoluzionario proposto da Rob Hopkins, l’ideatore dell’esperimento. Il presupposto di Rob è che gli esseri umani siano animali sociali e che insieme siano capaci di realizzare cose straordinarie. Gli uomini amano la creatività, il cambiamento e provano gioia nell’impegnarsi per realizzare un obiettivo comune. Questo però non avviene spontaneamente. Serve creare uno spazio (fisico e relazionale) in cui accendere questa scintilla e diffonderla con cura in uno specifico territorio o comunità.

Invece di portare soluzioni preconfezionate, quindi, la Transizione si mette al servizio di gruppi e comunità aiutandoli a raggiungere il loro più alto potenziale e accelerando un passaggio responsabile ad un futuro evoluto, sostenibile e libero dai combustibili fossili.

Alla base dell’agire secondo i metodi della Transizione vi sono tre punti fermi:

• se aspettiamo i governi, sarà troppo poco e troppo tardi;
• se agiamo individualmente, sarà troppo poco;
• ma se agiamo come comunità, potrebbe essere quanto basta e giusto in tempo.

Per questo inizialmente i gruppi cominciano ad impegnarsi in progetti relativamente semplici, come orti comunitari, corsi di autoproduzione, corsi di approfondimento, serate di sensibilizzazione, gruppi di acquisto solidale e così via. Ben presto, le persone vorranno crescere e tentare qualcosa in più.

In molte cittadine inglesi nascono monete locali per sostenere l’economia del territorio (Totnes Pound, Bristol Pound, ecc..); in altre si lavora con le amministrazioni pubbliche per costruire piani di resilienza alimentare ed energetica. Alcuni decidono di dare vita a cooperative e imprese basate sui principi della permacultura e dell’economia circolare. Uno dei più recenti progetti, Municipalities in Transition, ricerca e sperimenta nuove modalità di collaborazione tra le comunità locali e le amministrazione pubbliche.

Ci sono tanti ingredienti fondamentali per avviare un’iniziativa di successo e molti di questi verranno approfonditi e sperimentati nel Transition Training di Isola Vicentina. Se si dovesse sceglierne uno, quello che forse più caratterizza il modello della Transizione è l’importanza del “divertimento”. “È una festa, non una protesta” dice il motto. I temi sono seri e urgenti e il rischio di finire esausti, tristi e demotivati è molto alto. La soluzione, anche se contro-intuitiva, è fare in modo di rendere tutto un gioco. Più ci si diverte e più si sta bene insieme, più persone vorranno partecipare. L’invito è di attivarsi per rendere la propria vita meravigliosa, non per evitare i sensi di colpa verso noi stessi e le generazioni future. L’esperienza insegna che una volta appurato com’è fare le cose in questo modo è davvero difficile trovare ragioni per tornare indietro…

D’altronde anche papa Francesco nella Laudato si’ scrive: «Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza».

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