Un albero in più

Stefano Boeri: «Comincia in città il rinascimento dei nostri boschi»

Un fusto per ogni abitante. È proprio da questo modello che, spiega l’architetto, si può partire per dare forma, concreta, all’appello lanciato in nome delle comunità Laudato si’

A Milano, l’utopia verde sta già provando a mettere radici: «Con il sindaco Beppe Sala e il Politecnico stiamo lavorando a un piano di forestazione urbana per piantare in tutta la città metropolitana tre milioni di alberi entro il 2030. L’obiettivo è iniziare subito con almeno 100 mila esemplari e tre progetti pilota», dice Stefano Boeri. Un fusto per ogni abitante. Ed è proprio da questo modello che, spiega l’architetto, si può partire per dare forma, concreta, all’appello lanciato in nome delle comunità Laudato si’ dal presidente di Slow Food Carlo Petrini, dallo scienziato Stefano Mancuso, dal vescovo di Rieti Domenico Pompili.

Come si fa a moltiplicare il verde in Italia arrivando a piantare 60 milioni di alberi?

«Il modello Milano è importante perché indica la necessità di partire dalle aree metropolitane. In Italia, da Bari a Firenze, da Napoli a Torino, ce ne sono 14: se seguissimo il ritmo di un fusto per ogni abitante, potremmo pensare di mettere a dimora 22 milioni di piante nei prossimi dieci anni. Se aggiungessimo anche gli altri centri che hanno più di 15 mila residenti, potremmo averne ulteriori 18 milioni. Arriveremmo a 40 milioni di alberi, un punto di partenza solido e possibile. Nel progetto che abbiamo seguito con un gruppo di ricerca che comprende la Fao e altre realtà come la Sisef, la Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale, abbiamo previsto anche di connettere le città alla dorsale appenninica e al sistema alpino attraverso corridoi verdi che creino una grande infrastruttura che percorra tutta la penisola».

Perché le città sono così centrali?

«Devono essere protagoniste. Le aree urbane, dove vive la maggior parte della popolazione mondiale, da sole producono il 75 per cento della CO2 globale. Le foreste assorbono il 40 per cento di quell’anidride carbonica e bisogna combattere il nemico nel suo campo di battaglia. I benefici, però, possono essere moltiplicati collegando con corridoi ecologici tutte le aree verdi che custodiscono gli immensi patrimoni di biodiversità da tutelare».

Ci sono esempi internazionali a cui guardare?

«Il progetto Parco Italia è stato concepito all’interno di un piano più ampio: si chiama Great Green Wall of Cities e il 23 settembre lo presenteremo a New York, al Summit sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, insieme ad altri protagonisti fondamentali. È quello che dal 2007 sta cercando di fare l’African Union per fermare la desertificazione ripristinando in Africa 100 milioni di ettari di terreni degradati. Quel gigantesco disegno può essere riportato a una scala urbana usando foreste, alberi e spazi verdi per migliorare la vita nelle città facendole diventare, appunto, nodi verdi di una infrastruttura naturale».

Quale peso hanno le scelte dei governi e delle istituzioni e quanto può essere fatto dai singoli o dai privati?

«Le aziende, i consorzi, le grandi reti di servizi, hanno un ruolo fondamentale. Questa è una battaglia che può e deve coinvolgere tutti. È quello che stiamo facendo a Milano e che, ad esempio, sta facendo Tirana. Lì, in una delle città più cementificate del mondo, hanno piantato oltre 200 mila alberi in poco più di un anno e c’è persino un’app che dice a tutti dove e come piantare una pianta».

Ma nelle metropoli dove si trova lo spazio?

«Dovremo andare sempre più verso l’idea di una città-foresta, con tetti e facciate verdi e architetture integrate con la vegetazione. Le faccio qualche esempio. A Milano, se solo riducessimo gradualmente le aree adibite a parcheggio potremmo trovare spazio a 200 mila alberi. Negli ex scali ferroviari potrebbero spuntarne altri 250 mila e nei cortili delle scuole 23 mila. Tra l’altro, piantare un albero e garantirne la manutenzione per quattro-cinque anni può costare dai 25 agli 800 euro. Si può fare. Anche in Italia. E da subito».

di Alessia Gallione. da «La Repubblica»

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